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Le poltrone di Maroni

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Tenere «il culo su due poltrone», come dice di lui Umberto Bossi, provoca qualche schizofrenia nell’agire politico di Roberto Maroni.

Roberto Maroni

Roberto Maroni

Come leader del movimento, ne deve rilanciare le parole d’ordine: dalla macroregione sino al secessionismo invocato solo ieri da “suoi” giovani, dalla consultazione anti-euro alle monete padane, dalla difesa della Bossi-Fini condita degli eccessi anti-Kyenge, alla rivendicata opposizione al governo Letta e alla “resurrezione di Forza Italia…

Un armamentario che sarà prezioso quando la Lega dovrà ripresentarsi al giudizio degli elettori per provare a riconquistare la valanga di voti che ha già perso: l’anno prossimo, certamente, per le Europee o prima ancora, se il governo non sopravvivesse alle sue evidenti tensioni interne.

Poi c’è il presidente della Regione Lombardia alle prese con le tensioni che dividono la “sua” maggioranza, impegnato nell’affermare la propria primazia nei confronti di alleati cui tenta, non sempre con successo, di negare continuità politico amministrativa col governo di Roberto Formigoni di cui è stato, comunque, il sicario. E di qui la sorda guerra delle poltrone cui si assiste in queste settimane che si concluderà, inevitabilmente, con un compromesso in omaggio all’esercizio di un potere che resta un formidabile collante anche per questi fratelli-coltelli.

All’atto pratico, in questo incerto orizzonte, l’attività riformatrice è ridotta al minimo. Dal Consiglio regionale, nei primi 100 giorni di attività politica sono uscite molte dichiarazioni d’intenti e documenti d’indirizzo, ma poche decisioni: una legge bipartisan sui tagli ai costi della politica, che ancora non si estende ai componenti del governo regionale e ai suoi manager, un rinvio concordato della costruzione di nuovi centri commerciali, il commissariamento dell’Aler in vista di una sua contrastata riforma, l’annuncio di una nuova legge per la difesa del suolo.

Eppure le emergenze si moltiplicano.

Sul lavoro si è assistito al tira e molla Regione-Governo su chi dovesse anticipare i finanziamenti necessari alla cassa in deroga, ma tutto tace, ad esempio, sulle agenzie del lavoro sulla cui effettiva efficacia si dovrebbe pure riflettere.

Sulla cancellazione o “ristrutturazione” delle Province nulla si sa (anche a livello governativo), ma intanto si insediano i commissari e il futuro della città metropolitana resta incerto.

L’abolizione del ticket sanitario era una boutade elettorale, alcuni degli “aggiustamenti” proposti in extremis da Formigoni sono stati meritoriamente cancellati, ma il settore, che rappresenta di gran lunga il maggior capitolo di spesa della regione, attende interventi strutturali mentre non si sciolgono grandi nodi come Cerba e Città della Salute e si accende la protesta nelle strutture pubbliche e private.

Si è troppo parlato della “cacciata” dalla Lombardia di Equitalia (ancora non è dato comunque sapere a che punto si sia arrivati), ma nulla si è detto sulla fiscalità locale e sul contrasto all’evasione.

Per non parlare di malavita organizzata, immigrazione, nuove povertà, formazione professionale, ambiente, territorio, trasporti, Expo, gestione dei finanziamenti europei, investimenti perfino… L’agenda delle cose da fare, e in fretta, è lungo e non si può esaurire in nomine e propaganda. Per affrontarlo non basta che Maroni annunci di lavorarci «h24». Deve farlo.


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